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All’interno del mio percorso accademico di musica jazz al conservatorio Martini di Bologna il momento di eureka più eclatante è avvenuto durante uno dei tanti strepitosi seminari di Stefano Zenni e paradossalmente non ha avuto a che fare con il jazz
L’argomento erano le influenze afroamericane nella storia della musica, una sorta di ricerca storico-musicale di tutti i prodromi del jazz, e uno degli ambiti che saltò fuori durante una lezione fu l’impressionismo francese a cavallo fra ‘800 e ‘900, di cui uno dei due padri putativi è Claude Debussy.
L’altro, il nostro eroe. Maurice Ravel.
Rimango talmente stordito dalle sonorità del maestro, che a me e a Stefano Zenni (uno dei più grandi storici musicali che abbiamo in Italia, n.d.r.) balena in testa l’idea di costruire la mia tesi sulle influenze, volontarie e involontarie, nel jazz della musica di Ravel.
Comincia da parte mia uno studio molto specifico di brani per pianoforte, quartetti d’archi, trio pianoforte-violino-violoncello, sezioni di pezzi per ensemble più larghi. Le mie scoperte mi lasciano senza parole, quotidianamente l’elenco di indizi aumenta e contemporaneamente quello che all’inizio era solo un sospetto, si conferma col passare dei giorni come una verità inequivocabile: Maurice Ravel aveva “beccato” il jazz: Tutte le sonorità armoniche che verranno rese celebri dai jazzisti americani a partire dagli anni ’20 fanno già parte del bagaglio di Ravel a fine ‘800.
Dalle cadenze II-V-I maggiore e minore, all’utilizzo degli accordi alterati basato sulla sostituzione del tritono e sulle scale superlocria, diminuita ed esatonale, fino all’utilizzo di progressioni pionieristiche che rimandano al be-bop e post-bop in maniera inequivocabile (nella composizione per solo pianoforte Ondine ad esempio vi è una progressione di accordi che anticipa Giant Steps di John Coltrane di mezzo secolo).
Ma c’è di più.
Comincio a notare anche reminiscenze sconcertanti fra alcuni spezzoni del repertorio raveliano e il mondo del post-rock a cui io e i miei compagni di avventura Eileen Sol siamo molto legati. Si sviluppa quindi l’idea di scegliere alcune tra le più “mogwaiane” composizioni di Maurice Ravel e stravolgerle rispettosamente, rendendole nostre esaltandone però la sconvolgente modernità dell’impianto armonico e melodico.
Due delle prescelte che andranno a comporre Ravel Tapes, (di cui siamo particolarmente fieri) sono la cupissima Passacaglia, che sembra quasi un brano dei “Godspeed you! Black Emperor” e Le Gibet, ipnotico brano per solo pianoforte dalle armonie sospese, che hanno fatto parte della performance degli Eileen Sol (costruita in appena due giorni di prove frenetiche e indimenticabili) alla mia laurea tenutasi nell’Aprile del 2019; le altre due composizioni definite solo qualche mese dopo sarnno il Minuetto, una miniatura per pianoforte solo che dei quattro trattamenti di restyling ha forse ricevuto il più drastico e violento da parte nostra, ed il leggendario Bolero, la cui rilettura è nata quasi del tutto spontaneamente durante una jam particolarmente ispirata.
Siamo molto grati a Maurice Ravel per tutta la musica straordinaria che ha creato, e in particolare per questi quattro brani magici, e siamo sicuri che se lui potesse sentire i nostri riarrangiamenti lo scopriremmo un fan inaspettato di muri di chitarre e soli con l’ebow, e passerebbe con noi la nottata a decidere chi sono il meglio; se gli Slint o i Jesus Lizard.
Buon ascolto di Ravel Tapes a tutti!
(Pietro Guarracino)